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QUESTI FANTASMI DI EDUARDO DE FILIPPO SU RAI 3 CON MASSIMO RANIERI

Trasferire un’opera teatrale in tv è un’operazione titanica, come ad esempio equiparare o far dialogare Pittura ed Architettura: si deve pensare alla Cappella Sistina, non certo alla Street-Art.
Nell'adattamento del 2011 della celeberrima commedia eduardiana Questi fantasmi, il teatro viene trasferito pedissequamente sullo schermo. 
Per chi non conoscesse la storia, Pasquale Lojacono è un uomo di mezza età che si trasferisce in un palazzo del '600 assieme alla giovane e avvenente moglie Maria. Il protagonista ha stipulato un accordo molto vantaggioso con il proprietario dell'immobile: potrà tenere gratuitamente la residenza qualora riesca a mettere a tacere le dicerie secondo cui l'edificio sarebbe popolato da spiriti.


Chi va al cinema (o vede un film in TV) non è predisposto mentalmente e culturalmente alla rigida unità di spazio della commedia drammatica: ci si aspetta di librarsi tra la Bulgaria di uno 007 o il Vietnam di un Rambo: ed infatti su altro canale in contemporanea vi era uno scoglioso Di Caprio Redivivo in un inospitale Canada di frontiera. 
Ed invece ci si rinchiude in un ambiente di quattro mura per oltre due ore, e nemmeno nel castello del Conte Dracula ci si sente così in pena.
Infatti gli spazi del palazzo seicentesco di oltre venticinque stanze dove è ambientata la commedia, si riducono ad un’unica scena, come nemmeno nella peggiore scenografia di un teatro di periferia. 

Ed ora parliamo dell’attore principale: Massimo Ranieri nei panni di Pasquale Lojacono. 

E' un po’ troppo compassato in un abito e cappello da guappo napoletano, che è associabile più ad un padrino siciliano, che ci riporterebbe maggiormente ad un Benigni da Johnny Stecchino, o al film di Aldo, Giovanni e Giacomo ambientato in America: Al, John e Jack; ci si aspetterebbe più un intercalare tipo “miiiiii…..” di sicula memoria, che non una parlata in grammelot di un eccessivo linguaggio partenopeo, ancora più eccessivo se si pensa che viene espresso da un napoletano doc quale è Ranieri. 
Fino all’ultimo si fa fatica a comprendere se il “cornuto” sia consapevole e pertanto consenziente, o semplicemente vittima degli eventi sovrannaturali, da lui stesso creati. 

Cosa penso degli altri attori: 

La moglie Maria, interpretata da Donatella Finocchiaro, non ha certo la statura di una Sofia Loren del film precedente; quanto al grande Enzo De Caro della Smorfia, si fa fatica a riconoscerlo se non per la voce inconfondibile ma il trucco ridondante; 
l’altrettanto grande Gianfranco Jannunzio, il “cornificante”, anche lui scompare nella dinamica dei fatti. 

Forse l’attore che maggiormente emerge nella storia è il portiere dell’edificio, Ernesto Lama, forse l’unico che riesce a rappresentare un personaggio di Eduardo (che forse, vedendo il film, si è rotolato nella tomba). 

Un ultimo pensiero: vi è un ulteriore personaggio che non è interpretato da nessuno, quindi presente ma soltanto ipotizzato: il dirimpettaio del balcone. 

Vi era la possibilità di creare un simpatico dialogo da vico napoletano, ma anche questo viene ridotto a veloci monologhi senza la tempistica di una risposta, e quindi senza possibilità di replica: un’occasione mancata. 

Roma, 20/03/2020 

LAMATITASPUNTATA 

GUIDO DEL CORNO’ 

Jannuzzo, un siciliano errante in viaggio verso casa

Un radicato siciliano errante, quasi un BARABBA, parte - per poi restare - da un bollente BAR ALBA, dai 40 gradi all’ombra e che mi importa, io mi metto al sole di una Saponara Marittima senza alcun mare, con una carrellata lungo le tante regioni dello stivale, ognuna con i suoi gusti, i suoi dialetti, le sue debolezze, le sue forze, per tornare infine nella propria regione, ricca di una natura invidiata anche dagli Dei.
Le povertà più recondite (il pranzo di nozze fatto con il riso gettato sugli sposi, il viaggio fatto dalla chiesa alla casa), ma con ideologie chiare e profonde ma sempre fuori tempo massimo (l’anarchia sotto il fascismo, il mito monarchico a Repubblica subentrata), rendono il nostro eroe un mitico minotauro, “metà uomo e metà sedia”, che non vorrebbe lasciare la strada vecchia per la nuova, perché fa i gattini ciechi.
La nonna Galatina, novella Gengis Khan - con tre capelli con la treccina, due capelli con la riga in mezzo, un capello che è bene “lasciamoli sciolti” - Madonna nera tra quaranta Erinni, ed un cinematografo al primo tempo con “Gianni e Pinotto detectives” ed il secondo con “il settimo sigillo” (quasi come la fantozziana Corazzata Potemkin), ma anche al primo tempo con “l’esorcista” e al secondo con “alle dame del castello piace fare proprio quello”.
 Le giornate fuori porta al mare, con i bagni proibiti e per questo interminabili, e l’unico modo per giacere con una femmina è... crearsela di sabbia. Ma il tour attraverso le regioni italiane ha inizio per l’ennesimo fatto di corna con la moglie del sindaco, che non spara con la lupara perché – facendosi bene i conti – perderebbe 15 dei 22 voti in più che ha ricevuto alle elezioni.
Per tale motivo parte da Cariddi per arrivare a Scilla, dove i traghetti arrivano ma non ripartono, con il fatalismo calabro di chi, ferito ad un occhio da un ramo da lui stesso calpestato, e che prega: “ti ringrazio ‘o cippo era da solo, e non una forcella”, fino a cercare di buttarsi giù dal ponte di Catanzaro, il più alto di Europa.
Ma lo salva un macho che lo irretisce con un volantino pieno di mistero, portandolo ad arrivare a casa sua “prevedo che tu trasi” e poi prevede che tu te ne vai a fa i glutei.
Poi la solita Napoli, fiera dell’intelligenza a cielo aperto, con le sue Fiat Regata (o meglio rigate, ma su tutt’e late, ed il suo cantante napulitane docche, che ha inciso o dische d’uranie impoverite.
Il tutto con uno stretto grammelot stretto e veloce in tutti i dialetti, passando in veloce carrellata dalla trattoria dar morì mmazzato di Roma, dal fiore all’occhiello degli Uffizi di arte Moderna a Firenze, fino al panettun di un ultraleghista bergamasco  che parla quasi con un nipponico ciappa qui, ciappa là, con l’ansia di una metropoli non condivisa.
Siciliano per caso? lo spettacolo di D'Alessandro-Lolli con un Gianfranco Jannuzzo in gran forma, sarà fino al 2 febbraio al Golden e poi al Teatro 7 di Michele La Ginestra con Recital per la gioia degli innamorati del teatro d'autore!

  Roma, 31/01/2020
                                                                                             LAMATITASPUNTATA  
  GUIDO DEL CORNO’

LA CENA DEI CRETINI AL TEATRO CIAK DI ROMA REGIA DI NINO FORMICOLA

La cena dei cretini, affronta l’eterna storia di un bullismo becero contro il presunto 'soggettone' di turno, da parte di un variegato “branco” che si è andato a crearsi in tempo reale lungo l’azione stessa della pièce teatrale.
Il branco si va formando aggregando tre portatori sani - ed inconsapevoli - di perfetta ed assoluta cretineria. 
Il capobranco vorrebbe essere un eccezionale Gaspare (Nino Formicola), affatto orfano dell’anima gemella Zuzzurro (Andrea Brambilla), che potrebbe mostrarsi insostituibile, ma viene validamente surrogato da un caleidoscopico Max Pisu, la vittima sacrificale, che via via e strada facendo diviene in finale un benevolo carnefice. 
Interessanti anche le figure non certo minori di un improbabile rivale d’amore, Andrea Zanacchi (il vero rivale, il trucida femmine di turno, viene solo menzionato ed ascoltato in viva voce al telefono) e di un ispettore dell’Agenzia delle Entrate, Marco Manzini, lui il vero carnefice... ma cornuto. 
Ed altrettanto interessanti le due donne, la moglie bionda e sobria di Gaspare e l’amante dai capelli neri ed ubriaca, impersonate da un’unica attrice polimorfa ed irriconoscibile nelle due parti, Alessandra Schiavoni. 
Il battibecco diventa sempre più corale ed armonico, in un crescendo di battute ripetute ed ossessive che, nonostante in prima analisi potrebbero apparire prevedibili, risultano nella realtà armoniche ed irresistibili al riso, nell’attesa di una cena di cretini che non avverrà mai, anzi non avverrà più. 

Roma, 26/01/2020 


GUIDO DEL CORNO’ 

LAMATITASPUNTATA 

Il cielo sopra il letto visto da Guido

Il cielo sopra il letto
Skylight
di David Hare
Produzione del Teatro Eliseo


  In scena tre protagonisti:
LUI (Luca Barbareschi), un marito borghese arrogante, becero e maschilista sia con la moglie ormai defunta, che con l’amante;
LEI (Lucrezia Lante della Roverel’amante clandestina (ma non troppo) per lontani sei anni, ricercata e ritrovata speciale in una notte assurda ma senza possibilità di replica;
IL FIGLIO DI LUI (Paolo Marconi), il trait d’union che inizia e finisce la pièce, con una presenza cortese ed ironica, ma concreta.
Questi tre personaggi, danno voce ad altre figure di rilievo, volutamente assenti:
LA MOGLIE DI LUI, morta un anno prima, anche a seguito della scoperta annunciata della tresca del marito con la baby-sitter di casa, che scompare dalla loro vita appena dopo il ritrovamento delle lettere d’amore lasciate sub-consciamente in cucina, ma che dovevano stare in soffitta;
L’AUTISTA DI LUI, che aspetta il capo/padrone, oggetto di una disputa ideologica, se non sindacale, tra il borghese auto dichiaratosi arricchito, ma forse nullatenente e non certo intellettuale, e la più progressista amante, professoressa introdotta nel sociale di due complesse periferie romane, la famigerata Magliana ove vive, ed il mai risolto Corviale ove insegna;
IL TASSISTA, che aspetta a sua volta il cliente indeciso, che però non ha alcuna voglia di scendere, sebbene sia stato invitato cordialmente ad andarsene.
E poi un quarto protagonista che fa da sfondo ed aleggia sulla scena, ma al di fuori di questa e del palcoscenico, un' improbabile neve a Roma, che fa gelare l’ambiente, non certo coadiuvato da una stufa elettrica che fa tanta luce rossa, ma nessun calore.

Un finale oltre il finale: Barbareschi annuncia la probabile chiusura dell’Eliseo, qualora non intervenga per l’ennesima volta lo Stato o il Comune, dichiarando giustamente che “la Cultura è ben più in alto della Politica”.

  Roma, 17/12/2019


 di  GUIDO DEL CORNO’

One man show di Enrico Montesano visto da Guido

Lo spettacolo di Enrico Montesano al Castello di Santa Severa sabato 24 agosto 2019 è una carrellata di storia contemporanea riletta in gergo politicamente scorretto:
lavandini piani – non a chilomba – progettati da strani architetti pentiti;
cestini per rifiuti con sacchetto che sfugge all’azione del piede sulla leva, ed alita all’alzarsi del coperchio, alito che viene azionato anche dai soffiatori di operatori di un’AMA che non ama, e che disperdono invece che raccogliere;
il gay chiamato pedissequamente checca o frocio nelle canzoni di Lucio Dalla  e una Biancaneve che non può essere così chiamata, per non essere definita razzista nei confronti dell’essere “negro”, contornata da nanetti che non possono essere chiamati nanetti, ma “diversamente sviluppati in altezza”;
ed il cornuto che, sull’onda di “E’ tutta colpa di Alfredo” di vaschiana memoria, dice: 
"È andata a casa con il negro, la troia, mi son distratto un attimo Colpa di Alfredo (…) ho vista uscire, mano nella mano, con quell'africano che non parla neanche bene l'italiano, ma si vede che si fa capire bene quando vuole”.
Il tutto contornato da pillole di saggezza nel raccontare la processione con la statua di Sant’Urologo con il sorriso stampato tra il “beato” ed il “rincoglionito”, completo di rumorismi che si ritrovano presentando la gallina che “prima de fa ‘na cosa….”, o il pensionato Torquato questa volta invaghito della Filippa filippina e tettona che gli stimola il “salvavita Beghelli”, o dell’altrettanto pittoresca zia Sally;

Inutile dire altro: un grande.


Roma, 25/08/2019



LAMATITASPUNTATA
GUIDO DEl CORNO'

WALKING ON THE MOON visto da Guido

Si potrebbe intitolare “Il Complesso di Collins” riesumando una potenziale ma improbabile freudiana memoria. 
Assistiamo ai vaneggiamenti di un vecchio astronauta cui è stato negato in extremis l’ultimo atto per diventare un eroe agli occhi di un immaginario collettivo facilmente smemorato (un Graziano Piazza nei panni dell'ultraottantenne Collins che pare invecchiato con Photoshop), il quale sotto uno shock costante da sindrome di supermercato, riecheggia varie versioni del suo viaggio siderale. 

Gli Armstrong ed Aldrin che non sapevano allunare, non avrebbero saputo rientrare, fino alla più vaneggiante ipotesi negazionista; 

Il tutto intramezzato dal non sense di battibecchi onirici dei giovani personaggi dediti - o meglio sottomessi - alla peggiore rivoluzione digitale internettiana ed alla più demenziale navigazione in rete (con le giovani reclute della Compagnia del Teatro dell’Orologio, che funge da buon vivaio per nuove promesse, sotto una regia che li premia in quanto molto esigente); 

E ancora, con annessi di storielle d’amore dove la visione del dramma shakespeariano di Giulietta e Romeo, rende increduli i due assistenti dell’eroe che rifiuta il suo eroismo. 

Uno squarcio di ritagli di storie all’interno dello scenario mistico del sito archeologico e del teatro di Ostia Antica in uno spettacolo rappresentato alla rovescia, con il pubblico sul palco, e gli attori arrampicati sulle gradinate, diventando così surreale. 



Roma, 21/07/2019 



LAMATITASPUNTATA 

GUIDO DEL CORNO’ 

I fratelli Karamazov una prima incompiuta

Quando i Grandi sono grandi, sono grandi anche nel male.
  Dopo pochi minuti, reiterati in altrettanti pochi minuti, il sipario si chiudeva definitivamente per un malore - speriamo momentaneo - del protagonista Glauco Mauri.
  Quasi la rappresentazione di quanto lanciato come primo messaggio all’inizio della pièce: "Bisogna cercare la felicità nel dolore, amare gli altri con i loro peccati, in quanto se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo".  
  Poi, con queste poche battute, l’uscita definitiva di scena.

  E l’uscita degli spettatori che comunque tanto hanno applaudito e la felicità nel dolore l’abbiamo trovata nella tiepida serata invernale in via Nazionale, fino al suono della sirena dell’autoambulanza, che è apparsa suo malgrado come un segno di buon auspicio.


  Una Prima incompiuta all’Eliseo, con tanta dolce malinconia.

Guido Del Cornò



Il Maestro e Margherita all'Eliseo

La recensione 
Una storia d’amore tra un innominato maestro e scrittore di una improbabile vicenda su Ponzio Pilato, (e Ponzio Pilato anche lui, in carne ed ossa, interpretato da (Francesco Bonomo) e Margherita (Federica Rosellini) è 'inquinata' dal demone Woland (Michele Riondino) in una saga sabatica ricca di non sense istrionici ed isterici.
  Si avvicendano tre storie parallele - ma forse anche quattro o di più - che corrono in contemporanea traslati nei tempi ed in luoghi diversi.
 Appare un Jeshua lamentoso sotto i colpi di sferza, Oskar Winiarski, e sotto la rigida irrisolutezza di un Ponzio Pilato dal drappo rosso senza soluzioni di continuità, che diviene nella vita parallela il poeta che si arzigogola sull' esistenza di Dio e del Diavolo, per poi finire in un manicomio molto simile ad un Golgota.
  La coppia di innamorati, fin dall’inizio viene coinvolta in tragiche vicende quali la “tranvata” in senso letterale presa dall’amico Berlioz, e voluta da un Woland egemone, che sconvolgerà la loro esistenza.
  Hanno un certo peso i manager teatranti di una Russia lontana, che preparano una indefinita tournée.
 Il tutto è arricchito da un trio infernale di fedeli accompagnatori del demone e da tanti personaggi di contorno, ben oltre i ben undici interpreti della pièce da brivido culminata nella follia altalenante dell’indemoniata.
 Tra il tragico surreale e il comico catastrofico si consuma lo spettacolo in una coreografia spettrale con undici porte, tutte provenienti dall’inferno.
 Il finale cruento sublima la storia, e conferma le aspettative della prima al teatro Eliseo.
La riscrittura di Letizia Russo dell'opera di Michail Bulkagov, le musiche originali di Giacomo Vezzani e la regia di Andrea Baracco, incuriosiscono, inquietano e seducono lo spettatore avvolto nel mistero fino all'ultima battuta.

di Guido Del Cornò

Anche le formiche cadono!


La recensione
 Che in ogni uomo ci sia anche un po’ di femminilità e in ogni donna un po’ di virilità, ci sta, 
  ma che i personaggi di una coppia abbiano un transfer completo di andata e ritorno, per cui la personalità dell’uno penetri nel corpo dell’altra con tutto ciò che comporta (tette incluse), siamo al sublime della paranoia in un iter psicologico da capogiro nel quale la donna a sua volta, s’impossessa del fisico dell’altro... con membro incorporato.
 Nella notte di un improponibile diciassettesimo anniversario, avviene un sortilegio inspiegabile: lo spirito dell’uomo (Marco Fiorini) quasi a mezzo di una password di ingresso, passa nel corpo della donna (Milena Miconi) e viceversa, il tutto all’insaputa anche della figlia minorenne (Sofia Graiani) alle prese con i suoi disturbi di adolescente.
 Dopo quella notte, ci troviamo di fronte a una donna che non sa più stare sul tacco 12 e che per la prima volta è spiattellata sul divano a guardarsi la partita e ad un uomo non effeminato, ma ormai donna totale anche se con il pene, che finalmente riscopre la figlia di cui è come se non avesse mai sospettato l'esistenza.
 Il tutto viene arricchito dalla presenza un po’ invadente, e per questo simpatica, del procuratore di affari (Stefano Antonucci), e da un doppio caso di lesbismo: la sorella di lei, (Noemi Giangrande) che deve annunciare ai suoi genitori di esserlo, provocando scompensi e quant’altro.
  La signora Carbotto (Alina Person) - manager e moglie del signor Carbotto (Andrea Alesio) nonché cliente della premiata ditta di promozione e pubblicità che fa capo alla coppia “incasinata”, si prodiga ad effettuare una ceretta altamente sensuale alla gamba di quella che crede una donna, provocando invece un vero e proprio 'orgasmo' maschile. 
 La coppia trasformata dallo specchio di un fantomatico maestro Kucimaro, tanto voluto da lei, e sul quale è inciso il titolo della pièce "Anche le formiche cadono", arriva ad un matrimonio voluto da lui (lei) e ad un finale tragicamente a sorpresa, nonostante i ripetuti accenni sull'ingestibilità dei rapporti di coppia, ed alcune allusioni sia misantrope che misogine, come ad esempio: “Se la donna fosse una buona cosa, Dio ne avrebbe una”, che diverte il pubblico entusiasta.
E' caloroso il consenso e gli applausi del pubblico alla fine della prima della commedia  di Mauro Graiani e Riccardo Irrera diretta da Claudio Piccolotto in scena al Teatro Golden fino al 3 febbraio 2019

 di  GUIDO DEL CORNO’

RUDENS – LA GOMENA di TITO MACCIO PLAUTO – VINCENZO ZINGARO

 La recensione
“Cazzi la gòmena” di fantozziana memoria, potrebbe essere il leit-motiv della pièce con impronta decisamente mediterranea, localizzata in un’isola libica vicina a Cirene.
Una Cirenaica che appare baricentro di passaggio per ogni tipo di navigante, ma qui quasi invasa per l’atavico effetto migratorio da popoli del mare di varie estrazioni, ma resi volutamente caricaturali.
Quattro romani doc, di cui il protagonista, Mormora di nome, nato però ad Atene, il quale in finale mormorando mormorando, quale deus ex machina, riesce a risolvere con ragionamenti appena accennati, ma che poco hanno di matematico, una situazione ingarbugliata, con messaggi di buoni sentimenti.
  Le due prostitute Ombrina ed Alghetta,  di cui una risulterà essere la figlia scomparsa del Mormora, e già oggetto di riscatto da parte di un fantomatico Cavallo Marino, di lei innamorato, sempre citato ma che non appare mai nella scena.
 Un pescatore, servo di Cavallo Marino, che arriva - materialmente in teatro - con una barca di salvataggio, sfuggito ad un naufragio di cui sono state vittime anche le due dame, che si sono salvate altrimenti.
Un pescatore sardo, che con i guerrieri shardana ha nulla in comune, pescatore di fatto e di nome, che usa più che la lingua sarda un poco credibile ma simpatico grammelot fatto di eccessi di “Ayò” e di “cappito mi hai”, nonché alcuni membri di cori dai bassi profondi tipici dei tenores sardi, dall’aspetto più vicino ad un Archellino un po’ becero che ai mamuthones.
Non poteva mancare uno Squalo, di nome e di fatto, (di nome Demone nell’opera originale), siculo doc, di professione magnaccio, l’eroe cattivo che spesso accenna a comportamenti di stampo mafioso.
Siamo di fronte ad una versione fiabesca ma ancor più riadattata all’odierno, di un’opera teatrale già altamente attuale, al Teatro Arcobaleno fino al 20 gennaio 2019.


 di  GUIDO DEL CORNO’

 

 Il COMUNICATO STAMPA

Dal 28 Dicembre 2018 al 20 Gennaio 2019, al Teatro ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico) di Roma, la prestigiosa Compagnia CASTALIA, presenta RUDENS di T. M. Plauto, con l’adattamento e la regia di Vincenzo Zingaro. Con Ugo Cardinali, Piero Sarpa, Rocco Militano, Fabrizio Passerini, Annalena Lombardi, Laura De Angelis.

RUDENS è una delle commedie più affascinanti di Plauto, dotata di squisita freschezza e di atmosfere fiabesche, in virtù dell’inconsueta ambientazione marina in cui si svolge la vicenda, da cui Shakespeare prese spunto per la sua celebre opera “La Tempesta”.
RUDENS è uno splendido esemplare in cui intravedere il passaggio dalla Commedia greca alla Commedia latina e a quella moderna, fino alla Commedia musicale, di cui Plauto può essere considerato il precursore. Lo spettacolare e divertente allestimento di Vincenzo Zingaro, proprio in forma di Commedia musicale, restituisce tutti gli aspetti del teatro plautino, in un “gioco attoriale” che recupera il filo che dal mondo classico si dipana fino a noi, enfatizzando tutti gli aspetti fiabeschi e fantastici dell’opera: un’isola costruita nel teatro, barche a vela che attraversano la platea per attraccare a un moletto a ridosso della scogliera, l’imponente tempio di Venere, all’ombra del quale si staglia la casa del vecchio Mormora, il cangiare del cielo dopo la tempesta, creano una dimensione incantevole che proietta gli spettatori fuori dal tempo. Una favola divertente per un pubblico di qualsiasi età, particolarmente adatta per trascorrere le Festività con tutta la famiglia. Lo spettacolo prevede la SERATA SPECIALE CAPODANNO con brindisi di mezzanotte, buffet dolce, riffa di capodanno e Festa con la Compagnia!

NOTE DI REGIA

RUDENS (La Gòmena) è una delle opere più affascinanti di Plauto, dotata di squisita freschezza e di atmosfere fiabesche, in virtù dell’inconsueta ambientazione marina in cui si svolge la vicenda.
Basti pensare al prologo, in cui Giove, scatena una terribile tempesta, in seguito alla quale viene affondata la nave del fraudolento lenone. Si presume che proprio da questa scena Shakespeare abbia preso spunto per l’elaborazione del suo celebre dramma “La Tempesta”.
Appare subito evidente che ci troviamo di fronte ad un’opera estremamente interessante che, nel corso dei secoli, ha ispirato insigni autori: dall’Ariosto, nella “Cassaria”, al Ruzzante nella “Piovana”, al Della Porta ne “La fantesca”, e molti altri.
Dicevamo interessante, anche perché Plauto, in maniera davvero inusuale, sembra in questa commedia aver preferito mitigare gli eccessi puramente farseschi e licenziosi che contraddistinguono la sua creatività, a favore di un tono generale più intimista, più attento a certi aspetti etici, senza per questo nulla togliere al divertimento e alla godibilità dell’opera, che, anzi, si presenta così più ricca di elementi variegati. Per questa particolarità, si è pensato ad una maggiore aderenza al modello greco, in questo caso offerto da Difilo, celebre autore della Commedia Nuova, che offrì a Plauto anche il modello per la più scollacciata “Casina”.
L’opera costituisce uno splendido esemplare in cui intravedere il passaggio dalla Commedia nuova greca (la nèa) alla Commedia latina (la fabula palliata), offrendo l’occasione di assaporare gli echi di tutta la tradizione teatrale italica, fino ad abbracciare le più moderne forme di spettacolo, come la Commedia musicale, di cui Plauto può essere considerato il precursore.
Infatti, la commedia plautina era composta da diverbia (parti recitate) e cantica (parti cantate) e nessuno come Plauto riuscì a fare di quest’uso variegato dell’espressione scenica un’arte così grande. In RUDENS, l’aspetto musicale è strettamente legato all’elemento fiabesco, che nel mio allestimento ho cercato di far rivivere fantasticamente: un’isola costruita nel teatro, barche a vela che attraversano la platea per attraccare a un moletto a ridosso della scogliera, l’imponente tempio di Venere, all’ombra del quale si staglia la casetta del vecchio Mormora, il cangiare di colori sul cielo dopo la tempesta notturna, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere il sapore di una grande fiaba. Una fiaba raccontata in forma di commedia musicale, attraverso un “gioco attoriale” che cerca di recuperare quel filo sottile che dal mondo classico si dipana fino ai nostri giorni, fondato su un’istanza di comunicazione accessibile a tutti, semplice nel suo rimando ad archetipi della rappresentazione della condizione umana. Per questo, anche all’interno di una storia così delicata, rispondente ai canoni della Commedia nuova greca, non ho potuto fare a meno di rintracciare elementi di fescennini e soprattutto di farsa atellana, tipici della tradizione italica, che costituirono la forza e il segreto del successo del nostro autore; elementi che nel ‘500 confluirono in quell’importantissimo fenomeno chiamato Commedia dell’Arte e successivamente nell’Avanspettacolo e nella cosiddetta Commedia all’Italiana del nostro cinema. E’ infatti nella scoppiettante comicità delle sue caratterizzazioni e nella creazione di un “piano metateatrale”, all’interno del quale il pubblico viene coinvolto in un continuo gioco di interazione, che si palesa tutta la dirompente creatività di Plauto.
I suoi personaggi sono personaggi del popolo, che egli sapeva rendere vivi attraverso l’uso di forti caratterizzazioni e di un linguaggio molto vicino a quello del quotidiano, ricorrendo a neologismi, a termini stranieri comicamente storpiati, a inflessioni dialettali, incastonando il tutto in una vera e propria “partitura metrica”.  Partitura che ho cercato di ottenere attingendo allo straordinario patrimonio linguistico costituito dai nostri dialetti (senza nessun intento realistico di connotazione geografica), così ricco di colori e di sfumature sonore, più che mai adatte a dipingere il carattere popolare dei personaggi plautini, e a restituirne tutta la musicalità.
Cito, ad esempio, la scena in cui mi sono divertito a “stilizzare” l’originale Coro dei pescatori (presenza del tutto inconsueta in una commedia plautina), in un simpatico e bizzarro “Coro sardo”.
Ma ciò che colpisce di più in questa commedia è la centralità dell’aspetto etico, come non ce lo saremmo mai aspettati dal teatro di Plauto.
La sua rappresentazione del RUDENS sulla scena romana, con tale ricchezza di motivi (al di là della strabordante vis comica), dall’avventuroso al sentimentale, dallo sdegno al sollievo, dallo sbigottimento alla speranza, sembra abbia voluto offrire agli spettatori un motivo di stupore e di riflessione, con il quale l’autore prende le distanze da un concetto esclusivo di effimera evasione.
Il Plauto farsesco a cui siamo abituati appare in quest’opera mitigato a favore di istanze comunicative più delicate e profonde.
Forse, forte oramai della sua fama consolidata (la commedia è datata intorno al 189 a. C.), il nostro autore si è sentito libero di uscire dagli schemi consueti per “incontrare” il suo pubblico su un piano diverso. Forse, passati gli anni della guerra punica e, dopo un decennio, passata l'euforia della vittoria, gli umori dei cittadini volgevano ormai in direzioni diverse: emergeva l'esigenza di una riforma del costume. Possiamo quindi ipotizzare che l'estro del poeta abbia incontrato la particolare condizione dei tempi: da questo incontro nasce RUDENS, un unicum nel teatro di Plauto, in cui il Sarsinate, nel colloquio finale fra il vecchio Demone e il servo Gripo, decide di lasciare agli spettatori un messaggio di delicata e profonda saggezza sul concetto di onestà e di rispetto, contro l’avidità, facendo di quest’opera una vera e propria favola senza tempo, adatta ad un pubblico di qualsiasi età.                                                                                                                                                  
Vincenzo Zingaro


Biglietti:
Intero € 21,00
Ridotto € 17,00
Ridotto studenti € 14,00
Ridotto bambini € 10,00
Per la serata SPECIALE CAPODANNO: biglietto unico € 45,00         


Ufficio Stampa: Brizzi Comunicazione
06.39030347-06.39038091 - cell. 334 5210057

TEATRO ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico)
Via F. Redi 1/a - 00161 Roma
Tel./ Fax 06.44248154 - Cell. 320.2773855


IL PIÙ BRUTTO WEEKEND DELLA NOSTRA VITA

La recensione
Il teatro antico di ellenica memoria si imperniava su tre unità cosiddette Aristoteliche, rispettivamente: a) di luogo, b) di tempo (orientativamente h 24), c) di azione.
Qui ci troviamo di fronte ad una pièce ambientata in un unico luogo, la casa di campagna dell’avvocato interpretato da Nini Salerno, ironia della sorte, una casa senza “vicolo” di accesso, di un ex Gatto senza “vicolo” (Miracoli) ormai da tempo, e con successo, Nini Salerno. Il tempo si è sublimato in due week end traslati di due anni;
 L’azione è quella tipica di tante performances di commedia d’arte popolare, in cui le coppie si scoppiano e si intrecciano, tanto che in finale non si capisce bene chi sta con chi…
 Un misto di “Eros” e “Thanatos”, nel tentativo irrisolto di pacificare o “acquietare”, con un epilogo da piccolo mantra, un “mantrino” barese, dai toni alti e poi bassi (un “little tono”), sull’onda di un ricordo da braccino corto di un week end all’Isola d’Elba, con due tedeschi fantomatici eroi dismessi, ed un cocktail di Pina Colada pagato da Maurizio Micheli (anche regista), con incorporata estorsione e relativo finto oblio da parte di Nini Salerno.
 La scena, di Lorena Curti, con una sedia volutamente improponibile ed un tavolo fasullo neanche da mercatino dell’usato; come volutamente improponibili i vestiti della Boccoli, ma anche della Elia.
 Le due protagoniste, Benedicta Boccoli e Antonella Elia, molto cresciute ma non solo di età, non si lasciano offuscare dai due pezzi da novanta, anzi…
 Il tutto finisce in un tripudio di ottusità rancorose e di chiari di luna irrisolti, che vengono  appianati, anzi “acquietati”, quasi un deus ex machina con un rigurgito di omosessualità non condivisa, ma che era risultata presente negli accenni reiterati da parte delle due signore alla “resurrectio interrupta”, e alle più disparate sindromi, da quella del ferroviere a quella non meglio definita “di Amanda Lear”.

   Uno spaccato ironico del costume moderno, al Teatro Ciak di Roma dal 10 al 27 gennaio 2019.



 di GUIDO DEL CORNO’
 


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