Per festeggiare il teatro, ho copiato è incollato il primo capitolo (con le note) della mia tesi in Pedagogia interculturale dedicata al teatro come veicolo d'intercultura. La trovate in home page e se la leggeste mi farebbe davvero molto piacere.
Buon teatro a tutti e buona lettura!
Lo spazio scenico come veicolo d’intercultura
1.1
Il Teatro e la Pedagogia
Le note di Chopin del pianoforte suonato da un ragazzo di nazionalità straniera,
provenienti da un’aula del Centro Teatro Ateneo di Roma e che faceva da
accompagnamento agli esercizi di un seminario tenuto dal professor Ferruccio Di
Cori2
di Psicodramma e teatro della spontaneità, utile per poter sostenere l’esame
di Storia del Teatro di Marotti, determinò il mio ingresso ufficiale nel mondo
dell’invisibile.
Ferruccio Di Cori era un uomo, uno psichiatra e insegnante all’Actor Studio, le
cui lezioni erano sul teatro delle emozioni, un vero e proprio percorso di
drammatizzazione teatrale che consentiva ai partecipanti di relazionarsi con sé
stessi, con le proprie paure e i tabù, rafforzando così una ricostruzione del proprio
io e migliorando o riscoprendo le relazioni con i familiari, gli amici, i colleghi di
lavoro, la società in generale.
Iniziò così il mio viaggio su quel treno affollato, per scoprire paesaggi inesplorati
fino a quel momento, colori, odori inebrianti e orizzonti nuovi e mi portò a
conoscenza di questo luogo di educazione e crescita che è il teatro, completando la
preparazione umanistica iniziata al Liceo Classico.« Una delle tappe più significative
di questo mio viaggio, fu il Centro Teatro Ateneo3, nato come organismo 2
Di Cori Ferruccio, partito dall'Italia nel 1939 per sfuggire alle leggi razziali, ha costruito negli U.S.A.
la sua fortuna. Docente di psichiatria all'Harvard University di Boston e alla State University di New
York, direttore di ricerche e training in psicodramma al Kings County Hospital di Brooklyn, ha
frequentato, e talvolta curato, importanti uomini di teatro e cinema, da Tennessee Williams ad
Arthur Miller, Rex Harrison, Melvin Douglas, Jason Robards ed altri. A metà degli anni '50 i suoi
testi teatrali venivano usati come test all'Actor's Studio. Rientrato in Italia negli anni Novanta, nel
1993 è divenuto per sei anni professore a contratto della cattedra di Discipline dello spettacolo di
Ferruccio Marotti - dopo Eduardo De Filippo, Jerzy Grotowski, Dario Fo, Peter Stein - e per altri
nove docente del Laboratorio di Teatro terapeutico del Centro Teatro Ateneo, il così detto teatro
spontaneo delle emozioni: una forma di teatro terapia, variante dello psicodramma, uno
strumento semplice di immediato e facile intervento, che consente alle persone coinvolte una
visione delle proprie capacità e la possibilità di potenziarle superando inibizioni, paure, insicurezze,
conflitti. Ferruccio Di Cori si è spento all'età di 95 anni nel 2007, mentre ancora continuava a
insegnare nel laboratorio di teatro spontaneo delle emozioni.
3
http://www.teatroateneoalcentro.it/index.php/teatro-atene-e-il-centro/
7
interfacoltà nel 1981 per gestire le attività del Teatro Ateneo, con finalità di ricerca
e di promozione della cultura dello spettacolo.
E’ l’unico teatro esistente in un’università italiana ed è stato costruito nel 1935
come Teatro dell’Università di Roma e Teatro dei Gruppi Universitari Fascisti o
Teatro della Gioventù Italiana del Littorio.
Nel 1954 fu fondato l’istituto del Teatro, con il compito primario di programmare
l’attività del Teatro Ateneo, e ad esso si appoggiò, dal 1961, e l’insegnamento di
Storia del teatro e dello spettacolo della Facoltà di Lettere e Filosofia, tenuto prima
da Giovanni Macchia e poi da Ferruccio Marotti, il mio docente di Storia del teatro,
quello che mi incantò quando entrai per la prima volta nell’aula al primo piano della
Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza.
Rimasi sedotta dalle sue indimenticabili lezioni e i suoi libri di studio e ricerche
sul teatro balinese e sul teatro povero di Grotowski o sul teatro della crudeltà di
Artaud, saranno da me analizzati nei capitoli successivi.
Alcuni degli studiosi che ho citato, sono stati docenti e sono stati periodicamente
chiamati a tenere corsi, laboratori al Centro Teatro Ateneo. Sono stati professori a
contratto, di drammaturgia Eduardo De Filippo, di tecniche originarie dell’attore
Jerzy Grotowski, di tecniche di scrittura scenica Dario Fo, di regia Peter Stein, di
psicodramma e teatro della spontaneità Ferruccio Di Cori. Ho seguito molti
spettacoli al tempo dei miei studi universitari.
Il Centro Teatro Ateneo ha organizzato per ogni stagione teatrale tra il 1987 ed il
1995, un programma di spettacoli selezionati tra quelli delle compagnie di ricerca
professionali italiane e straniere – per un totale di oltre 1.000 spettacolo e 120.000
spettatori – offrendo agli studenti universitari abbonamenti e biglietti singoli a
prezzi particolarmente ridotti.»*
Il seminario del professor Di Cori, che ha introdotto il mio discorso sul teatro, fatto
di dialoghi, esercizi corporei, suggestioni ed evocazioni come la simulazione che
ogni studente fu invitato a compiere attraverso la rappresentazione del momento
successivo alla nascita e gli occhi coi quali avrebbe percepito il mondo; Fu un
seminario iniziatico, che mi ha dato le basi per intraprendere un percorso di studi
umano e sociale, il quale mi ha fatto attraccare nel delizioso porto della pedagogia
interculturale.
Così come il porto è il luogo degli arrivi e delle partenze, la mia sosta
8
è solo l’ultima tappa del viaggio, costellata di storie che porto con me, come quella
di Sad, un uomo triste che per campare deve vendere rose in un paese straniero e lo
fa da clandestino, come vuole il suo autore Robert Schneider, oppure la storia
raccontata a sua figlia da Tahar Ben Jelloun, e non si tratta di una storia qualunque,
ma di razzismo, rifiuto dello straniero e della diversità, una cosa che bisogna
insegnare ai bambini per tenere lontani sentimenti nocivi all’integrazione e affinché
il bambino possa diventare l’ uomo consapevole di domani. Merièm pone delle
domande eloquenti a suo padre, pensando il razzismo sia una malattia dalla quale
bisogna guarire e l’unica guarigione o la cura preventiva è proprio l’educazione alla
diversità.
A questo delicato argomento, ha dedicato un libro anche la docente del corso, le
cui lezioni mi hanno ispirato al punto di scegliere la sua materia come tesi di laurea,
la prof.ssa Angela Perucca, autrice del libro L’educazione dell’infanzia e il futuro
del mondo, che ho citato.
Nel libro scritto dalla Perucca sull’educazione dell’infanzia, in collaborazione con
Barbara De Canale, è posto l’accento sull’importanza della persona e la sua capacità
di comprensione integrale della realtà e del mondo. Questa comprensione è l'istanza
a cui l'educazione per il futuro è chiamata a rispondere, tenendo conto delle leggi
che regolano lo sviluppo infantile.
Di qui nasce una proposta di educazione a misura di bambino, capace di recuperare
i tesori della migliore tradizione pedagogica e di rimodularli in vista delle
emergenze educative e valoriali del presente e delle istanze del futuro. I temi di
studio di Angela Perucca delineano i parametri di un agire didattico attento alle
interdipendenze sistemiche e capace di gestire la complessità.
Un’altra tappa essenziale del mio percorso verso l’intercultura, è il testo di Paulo
Freire Pedagogia degli oppressi, che figura tra i testi più significativi del pensiero
pedagogico del Novecento, tradotto in 17 lingue e in cui l’autore affronta le
problematiche dell’umanizzazione/disumanizzazione degli uomini e delle donne,
esaminando i rapporti tra oppressi e oppressori.
Eppure la condizione degli oppressi e la storia delle minoranze etniche, in
particolare quella degli indiani, ha sempre esercitato un certo interesse e un
immenso fascino sulle popolazioni occidentali, a tal punto che un fotografo
9
americano ispirato dal modo in cui queste popolazioni vivevano, ha deciso di fare
un’esperienza singolare e unica: vivere in mezzo a loro, ricostruendo attraverso
degli scatti fotografici, una civiltà in via d’ estinzione.
Sto parlando del lavoro di Edward S. Curtis, esploratore, etnologo e fotografo, che
è stato definito il "cantore" degli Indiani d'America, popolo che ha amato e studiato
per tutta la sua vita.
La sua opera si colloca agli inizi del Novecento. Curtis viaggiò
nel Nord America, con l'intenzione d’immortalare gli affascinanti usi e costumi
(purtroppo già all'epoca in via d’ estinzione) di più di 80 tribù di nativi americani.
I suoi scatti sono raccolti con il nome di The North American Indian e a questa
singolare esperienza s’ispirò il regista Massimo Natale che mise in scena lo
spettacolo Ascolta il canto del vento. Il destino degli indiani d’America con musiche
di Matteo Cremolini e la splendida voce di Maria Laura Baccarini.
Il sogno di libertà di un popolo affascinante e sfortunato come quello degli Indiani
d’America, ridotti in schiavitù e annientati dallo spietato potere dell’uomo bianco,
ha preso forma al Sistina attraverso le immagini, anzi le preziose foto scattate da
Edward Sheriff Curtis, esploratore americano visionario e idealista dell’800 che
tentò di avvicinarsi agli usi e costumi dei Nativi americani, dedicando la sua vita a
coloro che tentarono invano di esternare la propria spiritualità e il profondo amore
per la natura, il cielo, la terra, ascoltando il canto del vento.
Accanto alla voce narrante dello ‘spirito’ di Edward (Gabriele Sabatini), c’è quella
celestiale di Maria Laura Baccarini che incarna il popolo indiano, massacrato senza
pietà e senza alcuna colpa da un altro popolo, quello dell’uomo bianco che ha saputo
soltanto ‘prendere e mentire’ promettendo una libertà ed un’identità sociale e
culturale che è stata loro sempre negata, anche dopo il 1924, la data del Congresso
USA, dove fu riconosciuta ai Nativi, la piena cittadinanza americana.
Oltre all’affascinante realtà delle tribù indiane, c’è la danza preghiera dei dervisci
rotanti che ho avuto la fortuna di ammirare al Teatro Eliseo durante la scorsa
stagione teatrale e che considero un esemplare dimostrazione di evento teatrale
come veicolo d’intercultura.
Il rituale di ormai 700 anni fa a cui ho assistito, è stato guidato dal maestro Sheik
Nail Kesova ed è proprio lui a dare i tempi per la musica e le danze mentre i dervisci,
10
indossando una tunica bianca come un sudario, un copricapo che richiama le pietre
tombali dei paesi musulmani, hanno aperto le braccia verso il cielo e il capo chino
verso il cuore, piroettando e girando intorno al maestro, per raggiungere l'estasi
mistica. E' la tradizione mistica Sufi, di cui sono custodi i Dervisci Rotanti del
Galata Mevlevi Ensemble dichiarati dall'Unesco "Patrimonio culturale
dell'umanità".
Tra seminari di teatro, spettacoli come Schifo, sulla storia di Sad, interpretato da
Graziano Piazza, oppure Akropolis, diretto da Jerzy Grotowski, testi importanti
come quello di Freire e della Kristeva, oppure i libri sull’educazione alla diversità
a partire dall’infanzia come Il razzismo spiegato a mia figlia di Ben Jelloun e quello
scritto dalla Perucca, mi barcameno nel porto chiassoso dove mi attende una signora
discreta e sapiente chiamata messinscena che mi riporta al teatro nella parte
conclusiva della tesi, con lo spettacolo di Vannuccini che non è uno spettacolo vero
e proprio ma un evento e s’intitola Respiro e gli attori sono dei rifugiati, approdati
sulla spiaggia del palcoscenico e i Percorsi Migranti di un gruppo di giovani
immigrati di seconda generazione che pur vivendo in Italia, attraverso la musica, il
ballo e il canto, mantengono la propria identità, la lingua, le tradizioni e soprattutto
l’immutabile amore per la terra natia.
Oltre al teatro come spazio dove rappresentare
le umane vicende e veicolo d’intercultura, c’è il teatro del sud del mondo, di cui noi
europei siamo spettatori e i custodi privilegiati di tante storie come quelle d’amore
raccontate da una cantastorie meticcia di Guantànamo, Mimì, la quale solo per una
notte incontrò e amò il rivoluzionario Che Guevara. E anche attraverso
quest’affascinante figura che era solita sedersi ai bordi delle strade per raccontare i
suoi incontri amorosi, l’educazione all’ascolto diventa un modo per trasformare
l’altro, il diverso, in un nuovo cittadino del mondo. E così nord e sud del mondo
diventano le due facce di un’unica medaglia, con comuni intenti d’incontro e
condivisione.
Les lieux communs ne sont pas des idées recues, ce sont littéralement des lieux
òu une pensée du monde rencontre une pensée du monde… C’est-à-dire, les lieux
òu une pensée du monde confirme une pensée du monde.
Édouard Glissant