Dal
29 Luglio al 2 Agosto 21.15
VENERE E ADONE
di
William Shakespeare
Regia Daniele Salvo
Traduzione
e adattamento Daniele Salvo
Prodotto da
Politeama s.r.l.
Venere e Adone di Shakespeare, fu composto nel 1593. E’ uno dei poemi
più lunghi di William Shakespeare, costituito da 1194 versi e dedicato a Henry
Wriothesly, terzo conte di Southampton, in cui il poeta descrive la poesia come
"il primo erede della mia invenzione". La città è infestata dalla
peste e deve chiudere i battenti di tutti i suoi teatri per evitare il
diffondersi dell’epidemia. Shakespeare si ispira al decimo libro delle
Metamorfosi di Ovidio e definisce Venere
e Adone “il primo parto della mia fantasia”.
Quando l’amico di scuola di Shakespeare, Richard Field,
pubblica “Venere e Adone” è, da subito, un grande successo. Si può
affermare che sia stato il poema più popolare dell’età elisabettiana. Tutti lo leggono. Tutti lo citano. Troviamo
citazioni anche in altri poemi. Ci sono riferimenti ad esso anche in lavori di
prosa. Ci sono scene, in alcune opere, in cui i personaggi parlano della
lettura di “Venere e Adone”, dicono
di averne una copia sotto il cuscino e di usarne le parole per sedurre le
giovani donne.
Apprezzatissimo fra gentiluomini e cortigiani, in breve
divenne una sorta di vademecum dell’amatore, ugualmente popolare nella
biblioteca, nel boudoir e nel bordello.
Viene ristampato più e più volte. Field sembra abbia
stampato 1000 copie della prima edizione.
Il poema è in egual misura comico, erotico e
commovente: la Venere di Shakespeare è passionale, una dea innamorata e
pazza di desiderio. Adone è un giovane bellissimo che le sfugge e preferisce i
piaceri della caccia a quelli dell’amore, sia pur divino.
Nonostante gli abbracci, le carezze e gli avvertimenti
della dea, il giovane parte per una battuta di caccia al cinghiale che lo
azzanna provocandogli una mortale ferita all’inguine. Venere accorre, ma è troppo tardi: non le
resta che trasformare il sangue dell’amato esanime nei rossi fiori
dell’anemone…
Ma da quel momento la Dea giura su quanto vi è di più
sacro che mai più per i mortali l’amore sarà privo di ogni sorta di tormento e
sofferenza.
L’esercizio
della Poesia è una prova di resistenza alle difficoltà quotidiane e
all’indifferenza degli uomini. Chi parla in Poesia spesso deve fare i conti con
una società che non comprende un pensiero puro, sganciato dalle logiche
commerciali o produttive ritenute così importanti ai nostri giorni. Le vicende dei
giorni presenti paiono sottolineare l’inutilità della Poesia perché essa, di
fronte alle epidemie, alle guerre, alle decapitazioni, al terrorismo, alle
violenze inaudite, nulla può lenire e a troppi non dice nulla. “La poesia è magnificamente superflua, come
il dolore e troppo fragile in tempi di sopraffazione.” Ci sono uomini come
William Shakespeare che hanno combattuto la superficialità, la stupidità,
l’arbitrio e la violenza quotidiana, con la forza della Parola. E di questa parola “luminosa” vogliamo
godere, attraverso questo privilegio unico, sonoro e poetico, tentando di
superare le assurdità della vita contemporanea.
Questo mondo di versi è
distillato prezioso di poesia e altissima letteratura.
Il tentativo è quello di
entrare direttamente nelle menti e nei cuori dei personaggi, nei loro desideri,
nei loro affanni, nelle loro ansie e speranze disattese o soddisfatte.
L’equilibrio delicatissimo in
cui si muovono tutte le figure del poema, compone un affresco di una potenza
espressiva straordinaria.
La febbre del nostro tempo ci porta a vivere in una
realtà anestetizzata, un mondo fittizio in cui l’emozione è bandita, al
servizio di un intellettualismo sterile e desolante. I nostri occhi sono
quotidianamente accecati da immagini provenienti dai media. La legge del
mercato non perdona: si vendono cadaveri, posizioni sociali, incarichi
pubblici, armi, sesso, infanzia, organi. Restiamo indifferenti. La dimensione
borghese soffoca i nostri migliori istinti, la nostra sensibilità (che brutta
parola oggi, considerata quasi scandalosa), la nostra sincerità e si porta via
ogni forma di creatività, ogni volo, ogni fede.
La nostra dimensione irrazionale viene completamente annientata.
Il senso dell’affermazione dell’ Io divora i nostri
giorni. L’arte è svuotata della sua dimensione spirituale: siamo in un momento
di emergenza assoluta. Il vero virus è dentro le nostre anime. La cultura
attraversa una crisi epocale : mancano la necessità, la fede, la fiducia in
qualcosa di superiore, la luce di un angelo che possa elevare i nostri destini.
Santa Teresa d’Avila scriveva “Noi non
siamo angeli, ma abbiamo un corpo”. Ma oggi il nostro corpo è divenuto
merce, moneta di scambio, non più sede inviolabile della bellezza e
dell’estasi. I media, persuasori occulti, agiscono sui nostri cuori e sulle
nostre menti addomesticando anche gli spiriti più ribelli, sigillando gli occhi
più attenti. La dimensione spirituale è irrimediabilmente perduta. Il senso del
sacro è ormai sconosciuto. Siamo ormai definitivamente trasformati in
consumatori e, nel medesimo istante, prodotti, sconvolti da una guerra
mediatica senza precedenti nella storia. Illusi della nostra unicità, della
nostra peculiarità, in realtà pensiamo tutti nello stesso modo, diciamo le
stesse parole, abbiamo tutti le stesse esigenze, le stesse speranze, le stesse
ansie, la stessa quotidianità fabbricata in serie.
Ci illudiamo di essere liberi.
I personaggi di Venere e Adone divengono testimonianze
di un mondo perduto e dimenticato, un mondo cristallino, sospeso sul filo
dell’orizzonte.
Il ‘900 ha razionalizzato
irrimediabilmente le pulsioni dell’animo umano, le ha ingabbiate, catalogate ed
educate. Shakespeare riesce ancora a comunicare in modo diretto, ”puro”; ci fa
entrare nel vivo della disperazione, della rabbia, dell’amore, della dolcezza,
della sensualità. Non descrive, non applica filtri letterari. Semplicemente
“è”.
Shakespeare
nostro contemporaneo.
Quando i teatri riaprirono, Shakespeare fece tesoro di
questo suo spericolato tuffo nelle insidie dell’amore e compose Romeo e
Giulietta, simbolo di gioia e tormento per tutti gli innamorati dei secoli a
venire.
Daniele Salvo
Interpreti
(in ordine alfabetico)
William Shakespeare GIANLUIGI FOGACCI
Venere MELANIA
GIGLIO
Adone RICCARDO PARRAVICINI
Scene
FABIANA DI MARCO
Costumi
DANIELE GELSI
Musiche originali
PATRIZIO MARIA D’ARTISTA
Assistente alla
Regia
ALESSANDRO GUERRA
Direzione tecnica
STEFANO CIANFICHI
Light Designer
UMILE VAINIERI
Sound Engineer
DANIELE PATRIARCA
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