Dighero racconta la storia del suo Mistero Buffo in scena al teatro Sette di Roma fino all'8 novembre 2015

Uno scatenato Ugo Dighero alle prese con due tra i più famosi monologhi del Premio Nobel - “Il primo miracolo di Gesù bambino” e “La parpàja topola”.

Il testo è solo un canovaccio nel "Mistero Buffo" e il vero protagonista è il corpo, la gestualità. In che modo hai studiato per preparare questo spettacolo, sia a livello linguistico che corporeo e quali sono stati gli ingredienti per raggiungere l’ armonia tra le due parti?

In realtà per Dario Fo, i due testi sono sicuramente dei canovacci sui quali lui compie variazioni. L’ho visto in azione più volte e ogni volta erano leggermente diversi. Io, non essendo per nulla padrone del dialetto lombardo (sono genovese) ho dovuto studiarli in maniera abbastanza precisa. La parte fisica è estremamente importante soprattutto nei dialoghi tra i vari personaggi. Gli stacchi devono essere molto precisi per interpretare contemporaneamente più personaggi.
E’ un lavoro lungo poiché i tempi sono talmente stretti che bisogna creare degli automatismi col corpo e con la parola. Se ci si ferma a pensare, si è già perso un tempo…

Commedia dell’arte, improvvisazione, grammelot, Dighero attore comico impegnato. Parlami delle motivazioni che ti hanno spinto a scegliere questo spettacolo, dell’ispirazione per un testo senza tempo, oppure un adattamento ai giorni nostri?

Dario Fo è un mio amore giovanile. A vent’anni l’ho visto in televisione e mi è subito venuta la voglia di studiare questi due racconti. Avevo appena finito la scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova e ho impiegato un bel pò per memorizzarli, entrare in confidenza col dialetto e con i ritmi infernali della narrazione. Ora è passato un bel po’ di tempo e ormai fanno parte del mio DNA.

Da quanto lo porti in scena e in quali regioni italiane e cosa ti aspetti dal pubblico romano? Stupore, sorpresa, comprensione, divertimento?

Se non ricordo male, la prima volta che ho affrontato il pubblico con "Mistero Buffo" era il 1986!
Ovviamente poiché la base dei racconti è in dialetto lombardo, il pubblico del nord arriva con più immediatezza al cuore del racconto. Qui a Roma percepisco un leggero smarrimento sulle prime battute ma poi il pubblico si rilassa subito quando si rende conto che la comprensione è totale, anche se qualche parola sfugge.


Un grazie e un sorriso a Dighero per quest'illuminante intervista ahimé virtuale, c'è sempre poco tempo per incontrarsi ma il pubblico romano (ero presente alla prima e lo sarò questa sera), è stato lieto di essersi emozionato con uno spettacolo colto, divertente e meraviglioso come questo!

di Tania Croce


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