Si può preferire la quiete del nulla eterno al movimento doloroso dell'esistenza? Ciò accade quando una mente e un cuore come quelli della giovane Mary Shelley, sono divorati da un dolore senza fine che genera incubi indicibili da cui nasce Frankenstein, il romanzo epistolare composto in un'estate senza sole come quella del 1816, da un'anima in pena che attraverso la scrittura, sopravvive. Il freddo di un'adolescenza senza l'amore della madre, passata ad altra vita per metterla al mondo, avvolge i giorni e le notti insonni di Mary, che attende di unirsi con l'unico profondo amore della sua vita, il poeta e scrittore Percy Shelley, da cui avrà quattro figli. Tra l'Inghilterra e la Svizzera Mary vive, vaga, ama, vaneggia, sopportando l'esistenza e così Melania, corre da una parte all'altra del palcoscenico nel tentativo di compiere questo viaggio, per terra e per mare. Il mostro che ha creato nel suo romanzo, è frutto del suo stesso turbamento e forse, è il suo riscatto da quel senso di colpa che la perseguita. E' un racconto disperato, attualissimo, dove l'autore tenta di dare alla scrittrice inglese dignità fin dall'inizio, mentre nel tempo in cui visse, quando l'opera venne pubblicata anonima, fu ritenuta orribile. Il delirio di onnipotenza, la speranza di creare un essere perfetto, genera mostri ed è per questo che il romanzo della Shelley, ha preceduto la rivoluzione tecnologica attuale, in cui l'uomo dipende da una sorta di mostro dotato di memoria che ha creato con l'intento di essergli d'aiuto e che in realtà determina la sua alienazione: il computer. Bellissima la voce narrante di Aldo E. Castellani, che scandisce i momenti di smarrimento e di rinascita della scrittrice e intensa è l'interpretazione di Melania Fiore, un'attrice giovane eppure esperta, catapultata in questo secolo ma che sembra provenire da un tempo lontano, col suo volto angelico, lo sguardo rivolto altrove, una voce soave e suadente.
Emozioni vive e autentiche al teatro Lo Spazio
(3 febbraio 2015)
di Tania Croce
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